VIOLANTE DI BAVIERA
e i Carmelitani di Santa Eufrasia di Pisa

Protagonista, forse la più cara al lettore, del romanzo La Camicia Bruciata di Anna Banti, la gran principessa Violante di Baviera (1673-1731) anche nella vita reale fu davvero la moglie poco amata e poi la vedova di Ferdinando, primogenito del granduca Cosimo III dei Medici. Dal matrimonio non ebbe i figli-eredi al trono tanto desiderati, ma dimostrò nella sfortuna serenità d’animo, gran tatto e talento politico, tanto da essere stimata dai regnanti e, lei straniera, benvoluta dalle popolazioni.
Tra il 1717 e il 1731 fu nominata governatrice di Siena.
Nel 1727 ebbe in dono da Benedetto XIII la prestigiosa onorificenza della rosa d’oro, consacrata a Roma la quarta domenica di Quaresima e consegnata alla destinataria con cerimonia solenne a Firenze il 20 aprile. Nel 1730 adoperò la sua influenza presso l’Imperatore a Vienna per far cadere ogni opposizione all’elezione del papa successore, Clemente XII Corsini.
Nel maggio 1731 si ammalò gravemente e il 30 del mese morì a soli 58 anni.
Ne fu subito aperto il testamento, dove aveva disposto di far seppellire il suo corpo con l’abito delle Carmelitane Scalze sotto il coro del monastero di Santa Teresa di Borgo La Croce di Firenze e di far depositare il suo cuore in fondo alla cassa dove giacevano i resti del marito. Era l’ultimo gesto d’amore verso chi in realtà l’aveva pochissimo corrisposta.
Violante nominò suo erede universale il nipote Ferdinando di Baviera e dispose per dei legati, uno dei quali riguardò i Carmelitani Scalzi di Santa Eufrasia di Pisa.

Dal 1717 una decina di frati dimorava in questo convento e celebrava nell’antica chiesa annessa – documentata nell’VIII secolo e oggi sconsacrata e adibita a biblioteca.
Avevano avuto il compito di abbellirla e avevano concluso i lavori, o quasi, nel 1730 quando era stata riaperta ai fedeli. L’anno dopo furono ricordati proprio nel testamento di Violante che, di certo, conoscendone i bisogni, lasciò loro in aiuto un’ingente somma di denaro con il compito di proseguire gli ornamenti fondando la cappellania di Santa Teresa d’Avila.
Così ricorda il manoscritto:

“Copia del Paragrafo VII del testamento della Serenissima Gran Principessa vedova di Ferdinando di gloriosa memoria fatto sotto dì 8 aprile 1721 rogato sig. Sigismondo Landini L(uogo) T(enente) Fiscale.
Item ordiniamo che si fondi in Pisa, nella chiesa di Santa Eufrasia de’ Padri Carmelitani Scalzi, e sopra l'altare di S. Teresa posto in detta chiesa, una perpetua cappellania sotto il titolo di S. Teresa, posto in detta chiesa, con obbligo di una messa quotidiana senza riposo e per fondo di detta cappellania ducati duemila di lire sette per ducato da rinvestirsi in censi, Luoghi di Monte da’ medesimi Padri Carmelitani Scalzi, sotto la cura et amministrazione de’ quali vogliamo che siano li detti ducati duemila, e che la predetta religione, de’ predetti PP. Carmelitani Scalzi sia essa instituita per l’ufiziatura perpetua di detta cappella, raccomandando particolarmente alla detta Religione nelle loro orazioni l’anima nostra, e però ordiniamo, che di questo nostro testamento ne sia fatto consapevole il loro padre generale, che sarà al tempo della nostra morte, e subito che sarà seguita”.


Al legato fu dato esito l’anno dopo, disponendo del denaro depositato nel banco dei Corboli e Torrigiani di Firenze.
In particolare il 10 maggio 1732, dal convento fiorentino di San Paolo fra Niccolò di Lorenzo provinciale della “Provincia della SS. Annunziata di Toscana”, concesse ai Carmelitani la licenza di accettare l’obbligo, informando che il fondo di duemila ducati era stato dato “a censo” con il frutto del tre e mezzo per cento a Rinaldo e ai fratelli Albizi. Questi ne avevano dato l’assicurazione, cioè la garanzia, con un “effetto libero” consistente nella villa di Casciana e nei suoi poderi di Bagno ad Acqua a Il Disperato (così è scritto) e a Pruneta.
Di fatto gli Albizi formavamo una nobile famiglia ma in ristrettezze economiche. Era composta dalla madre Isabella da Verrazzano vedova di Luca e da sette figli maggiorenni e minorenni. Caricati tutti di un’eredità piena di “debiti cambiari”, e volendo liberarsene, una volta saputo del lascito ai frati e dell’obbligo di investirlo, ne avevano chiesto il censo, impegnandosi a pagare ogni anno 7o scudi per la celebrazione del legato.
E così avvenne. Il 24 maggio 1732, dal convento di Santa Maria della Scala di Roma, fra Prospero da San Giovanni Battista vicario generale concesse ai frati di Pisa la licenza all’accettazione dell’obbligo e il 25 giugno 1732 il priore fra Filippo M. da S. Niccolò radunò sette padri vocali a capitolo. Spiegata la questione tutti approvarono e ratificarono.

La storia del lascito ebbe un piccolo seguito. Il 14 settembre 1762 il p. Antonio Benedetto della Purificazione provinciale, fece sapere ai frati, per una nuova ratifica, che gli Albizi avevano venduto la tenuta di Casciana a Lorenzo Damiani di Livorno e che il compratore si era accollato il peso del censo con gli obblighi e l’ipoteca.
Il 6 marzo 1781 poi il provinciale fra Carlo Alessio da San Clemente informò che il censo sarebbe stato assegnato a un certo nobile Giovanni Bigazzi o a altri.
Ulteriori vicende non sono riportate dalle carte. Né la storia degli Ordini religiosi dei tempi successivi fu favorevole ai religiosi in generale e ai Carmelitani di Santa Eufrasia in particolare. Nel 1810 vennero soppressi dalle leggi francesi e dal 1816 si stabilirono a San Torpé, lasciando per sempre la chiesa che avevano abbellito con tanto impegno.


Paola Ircani Menichini, 8 ottobre 2021
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RICONOSCIMENTI


Le fotografie


– Bartolomeo Mancini, ritratto di Violante di Baviera, 1690, dal sito del Museo Civico-Pinacoteca Crociani di Montepulciano.

– La chiesa di Santa Eufrasia oggi, da Google maps.

– La nota manoscritta sul lascito di Violante di Baviera.

– Santa Eufrasia in alto a destra, particolare della carta di Pisa di M. Merian, 1638.


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